lunedì 6 febbraio 2012

LOUIS VUITTON SODOMIZZA ROMA

Il metodo oramai pare consolidato: appropriarsi di un luogo storico del centro di Roma, stravolgerlo in barba ai dettami della Soprintendenza "regalando" in cambio importanti opere pubbliche. Questa volta a portare a segno il colpaccio ci ha pensato il gruppo francese LVMH, colosso del lusso e proprietario di numerosi brand: vittima prescelta il Cinema Etoile in Piazza di San Lorenzo in Lucina, nato ai tempi del cinema muto come Teatro del Corso a firma dell'architetto Marcello Piacentini e sopravvissuto fino a subire il cambio di destinazione d'uso che l'ha portato a diventare grande magazzino del marchio Louis Vuitton
Il "regalo" fatto dal "benefattore" francese alla cittadinanza romana è il rifacimento della pavimentazione del Tridente, oltre alla valorizzazione del cinema nostrano consistente in uno schermo di sei metri e diciannove poltrone e una collaborazione con la Scuola Nazionale del Cinema che prevede progetti di formazione e supporto dei più giovani con borse di studio e laboratori di specializzazione. Solita fuffa per giustificare l'ennesimo caso di sodomizzazione della città di Roma da parte dello straniero. 
In un freddo pomeriggio di neve, Zed si è recato presso la nuova creatura, carico di buone intenzioni e amore per il marchio francese, con l'intento di fare un giro per il negozio e spaparanzarsi in poltrona a godersi i film proiettati. Tre piani arredati con gusto asciutto e prezioso, carichi di merce monogrammata; in mezzo alcuni accessori davvero validi, ma sempre sofferenti di un'ansia da prestazione, quella di dover essere un chiaro status symbol. Si sale finalmente al primo piano, pregustando il meritato riposo su una delle magnifiche diciannove poltrone: una calda pelle marrone accoglie le membra stanche, un pulsante sul lato destro consente di regolare seduta e schienale. Raggiunto un assetto quasi sdraiato, Zed si dedica ai corti proiettati, prima Sorrentino, poi Moretti. E qui la bufala, un audio talmente basso da essere sopraffatto dalla musica di sottofondo del negozio. Zed è costretto a interpretare Moretti leggendo i sottotitoli in inglese, e fa appena  in tempo a scattare una foto con il cellulare che un energumeno gli ricorda che non è possibile fare foto nel negozio. Sconsolato, se ne va a fotografare l'unico posto dove si spera nessuno venga a sgridarlo, il cesso, prima di proseguire con la passeggiata romana.
Uscito dal negozio, si ritrova nella piazza, svicola in via di Campo Marzio e riflette sul triste destino della gens romana, incapace oramai di provvedere ai propri bisogni, dipendente dal filantropo di turno a cui bisogna anche dire grazie, il filantropo che mette a disposizione della collettività il proprio spazio "culturale" salvo poi renderlo inagibile, perchè il cinema è pericoloso in quanto vita, verità, libertà, e potrebbe ricordare al consumatore che prima di esser tale è un cittadino, un uomo.


giovedì 26 gennaio 2012

LA BELLA ESTATE

È un'Italia senza tempo quella rappresentata dalla nuova campagna Dolcegabbana per l'estate 2012: ridente, assolata e pittoresca, è un’Italia da cartolina da vendere ai nuovi ricchi russi e cinesi. Gli ingredienti non cambiano, in una ricetta conservatrice e stantia: due modelle del calibro di Bianca Balti e Monica Bellucci (ah! È un attrice?), si stagliano poderose su uno scorcio di vita lenta e beata, con gli anziani del luogo dignitosi e composti e i prestanti ragazzetti provinciali con cui le ricche borghesi di città condivideranno una breve avventura estiva, da raccontare alle amiche a settembre. Non contenti dello shooting, i nostri due eroi nazional-popolari si inventano uno short movie a sostegno (o in memoria?) del cinema italiano, che vive da anni uno stato comatoso: emblematica a riguardo è la presenza di Beppe Fiorello, cavallo di razza di mamma Rai ed esponente di spicco della fiction italiana low cost che, benché perbenista e moralizzatrice, resta l'unica boccata d’ossigeno per l’industria cinematografica nostrana.
Di ben altro sapore l’ultimo film di Luca e Gustav, già registi e protagonisti del film-documentario “Improvvisamente l’inverno scorso”: questa volta i due compagni, nell'ultimo lavoro "Italy love it or leave it", affrontano un dilemma che affligge molti giovani connazionali da qualche anno a questa parte: restare qui a presidiare il nostro Bel Paese nonostante le difficoltà di ogni sorta, o fuggire all'estero in cerca di un avvenire migliore in un Paese più civile? E con leggerezza si monta su una 500, simbolo ironico di un passato glorioso, e si percorre l’Italia dall’alto in basso, alla ricerca di ciò che possa darci speranza, spesso trovando ciò che ci fa vergognare. È l’ennesimo caso di pessimismo comunista o un modo onesto e costruttivo di vedere la realtà?
Sia perdonato il paragone, è ben chiara la finalità di un cortometraggio-pubblicità, ma dai creativi ci si aspetterebbe una visione, un atto di coraggio avanguardistico, una nuova idea di italianità che non stia a battere il ferro svergolato dei soliti luoghi comuni.

martedì 17 gennaio 2012

UN IMBUCATO A PITTI


Venerdì 13 gennaio ore 12.00: senza alcun accredito e senza alcuna intenzione di pagare l'ingresso, dalla stazione di Santa Maria Novella mi dirigo verso la Fortezza da Basso. Alla biglietteria chiedo un accredito stampa facendo il nome di una testata online per cui ho scritto un paio di articoli, ma loro pretendono un fax su carta intestata che attesti la mia collaborazione con loro, oppure una copia dell'articolo: panico! 

Grazie al mio smartphone, riesco a mostrargli l'articolo in questione, da cui però si evince che sono un blogger, e allora la questione si fa più complicata; vabbè, vi risparmio il tiraemmolla, dopo mezz'ora son dentro!
Con sole tre ore a disposizione per visitare la fiera, salto a piè pari i vari piqquadro paciotti peuterey. Percorro i padiglioni e trovo la prima (e forse unica) meraviglia della fiera: un tabarro nero in cachemere di Sandro Zara con mascherone in argento; mi spiegano che per ottenere un tabarro occorre un telo di tessuto di tre metri per tre, e che il taglio deve essere rigorosamente a vivo, il che giustificherebbe la modica cifra di tremila euro che dovrete sborsare per farlo vostro.
Proseguo il mio pellegrinaggio, la fame si fa sentire, e per fortuna incontro i miei conterranei di Harry&sons: fingo interesse per il marchio, mi raccontano che dalla camiceria sono passati al total look, e io intanto lì ad ingollare taralli pugliesi. Chiedo anche una cartella stampa mandandoli nel panico, saluto cordialmente e proseguo. 
Percorro una lunga teoria di marchi che propongono il preppy, il country, il polo, che quasi sembra di stare in una sartoria cinematografica; e ancora marchi che promettono eleganza e stile, i cui vestiti servono a malapena a pulirsi le mani unte di tartine. 
Finalmente mi imbatto in qualcosa di interessante, giacche e abiti dal taglio impeccabile e dai dettagli rock, che mixano tessuti classici a inserti shocking. é l'inverno 2012-13 di A Workroom By Ryoji Okada. Dalla cartella stampa apprendo che Ryoji, nato a Tokio nel 1971, era destinato alla carriera di musicista, ma dopo il diploma si dà alla moda, andando a lavorare per un sarto a Savile Row. Nel 2002 fonda il suo marchio, e da allora veste numerose star giapponesi, fondendo sartorialità e stravaganza.
Intorno alle 14,30 sono già sfinito: siedo su una vecchia panca in legno dinanzi ad un monomarca e conosco Tanya, una PR maldiviana impiantata a Milano: lei vuole raccontarmi la storia del suo marchio, ma per fortuna è presa da Ipad, Iphone, I'm sorry! Decide di accompagnarmi nell'unico padiglione che non ho ancora visitato, e sulla via incontriamo un furgone di Sky cui si chiede inutilmente visibilità per il suo marchio, poi si passa a salutare un collega da Hackett (solita solfa inglese) e infine si entra al Touch, dove son già tutti intenti a smantellare. Mi presenta i gemelli diversi creatori del marchio Want Les essentiels de la vie, una linea di borse valigie accessori per un viaggiatore classico e moderno al tempo stesso e bla bla bla... 
é tempo di lasciare la fiera, mi accomiato dai miei nuovi amici e mi dirigo verso l'uscita, ma prima entro a dare un'occhiata nel padiglione di Hugo Boss. Faccio un giro, scrocco dell'acqua al bar, e chiedo di fare delle foto: mi consentono di fotografare soltanto l'allestimento: ma perchè, cosa credevano volessi immortalare???

P.S. Idea interessante quella della stampa laser pied de poule su jeans, no?

testo: Zed
foto: Zed